Teatro

SE N'E' ANDATA ZAZA'...

SE N'E' ANDATA ZAZA'...

Gabriella Ferri è morta sabato precipitando da un balcone della sua casa di Cerchiano, in provincia di Viterbo. Un suicidio, è stato detto subito: da molti anni la Ferri era malata di una grave forma di depressione. La famiglia ha però smentito: secondo i parenti la cantante sarebbe precipitata accidentalmente da un balcone, forse per una malore dovuto ai farmaci antidepressivi che prendeva. Il sindaco di Roma Walter Veltroni ha annunciato che la camera ardente sarà aperta in Campidoglio, nella sala delle Protomoteca che sarà aperta dalle 16 di martedì alle ore 16 e fino alle 18,30 di mercoledì, quando si terrà una cerimonia funebre. Il giorno dopo alle 11 si svolgeranno i funerali nella chiesa romana di S.Maria Liberatrice. Gabriella Ferri aveva paura di vivere. Da molti anni incontrare gente era per lei una sofferenza. Figuriamoci cantare su un palco, con il pubblico davanti. Si è spenta una delle voci più rappresentative di Roma ma amata dal pubblico di tutta Italia, un’artista di vaglia, una donna che non è riuscita a trovare il bandolo della matassa della vita. Aveva riportato al successo canzoni come Dove sta Zazà, un brano napoletano del dopoguerra, che le aveva dato grande fama, e aveva fatto conoscere agli italiani Grazie alla vita, un delicato canto della cilena Violeta Parra che oggi suona beffardo (ma del resto, dopo averlo scritto, anche Violeta si tolse la vita). Cos'è che distruggeva Gabriella? Francamente è difficile a dirsi, perché la ragazza di Testaccio che conoscevo era inafferrabile, aveva un fuoco dentro, una irrequietezza feroce che era impossibile da afferrare. Anche chi gli era stato molto amico non riusciva più ad avere un rapporto con lei, a parlarle. Ti passava sopra con gli occhi e andava oltre. Diversamente da quando, negli anni Sessanta e Settanta, condivideva con i colleghi le canzoni popolari, e si divertiva a fare le seconde voci ed era capace di stare una intera nottata a cantarle, e guai se te ne volevi andare a dormire. Era una personalità forte e spigolosa che non si era certo piegata alle leggi dello spettacolo neanche dopo essere andata a Sanremo nel 1969 a cantare, in coppia con Stevie Wonder, Se tu ragazzo mio, un pezzo beat al quale teneva molto. Era nata nel 1942 a Testaccio, quartiere che lei rivendicava con foga, la sua formazione musicale era popolaresca e ne era orgogliosa. Aveva una voce solare e negli ambienti intellettuali romani aveva destato simpatia e ammirazione per quel suo modo beffardo di lanciare la voce e per quel volto col caschetto biondo che esprimeva grande ironia. Le sue prime canzoni erano state quelle da osteria, come La società dei magnaccioni, interpretate accanto ad una ragazza timida, Luisa De Sanctis, figlia del regista Giuseppe, quello di Riso amaro. Due ragazze che cantano canzoni sfrontate, che intonano Alla renella ed altri stornelli romaneschi con il piacere di cantare, che ti perforano con gli occhi, non potevano passare inosservate. Ed eccole a Milano, ospiti di Camilla Cederna, che le presenta al maestro Intra, che le fa cantare nei localini di Brera. Giungono così (è il 1963) alla Fiera dei sogni di Mike Bongiorno. Ma il sodalizio con Luisa dura poco e Gabriella, che non si accontenta del folklore romanesco, si mette in proprio. Una delle tappe della sua carriera è una avventurosa tournée in Canada, assieme ad altri esponenti del folk, come Caterina Bueno, Otello Profazio, Carla Cassola, Lino Toffolo in uno spettacolo teatrale che ha la regia di Aldo Trionfo. Ma lo spettacolo è rivolto agli emigrati italiani i quali restano di sasso nel vedere che nessuno degli artisti (salvo uno, un siciliano, suonatore di friscaleddu) ha il costume regionale e le donne addirittura le minigonne! Storie che divertivano Gabriella, che nel frattempo si era sposata con un dirigente della Rca (il precedente matrimonio era con un funzionario del ministero degli esteri e Gabriella aveva vissuto un lungo periodo in Africa). Ma già allora, Gabriella era un mistero e le notti di New York (dove i folksinger si erano intrattenuti di ritorno dal Canada) si trasformavano nell'ossessione di non dormire e tirar mattina ad ogni costo. È come se quell'esperienza sia stata il giro di boa delle sue scelte musicali: diventa l'artista di punta del Bagaglino, allora in una stradina al lato di Corso Vittorio a Roma e aiutata da Piero Pintucci, musicista e arrangiatore, asseconda la sua vena beffarda. Il suo fisico, da sottile, si è andato via via irrobustendo e questo nuovo aspetto fa parlare di lei come di una mamma Roma che tiene testa (in Tv in una trasmissione che è divenuta culto) a Claudio Villa: stornellando, i due si dicono le cose peggiori e Gabriella ne esce come l'erede di un genere romanesco che non è solo voce, ma aspetto. È così che si appropria delle canzoni, vecchie o nuove non importa, che le diano la possibilità di costruire dei veri e propri numeri, quasi delle «macchiette», nelle quali però non c'è imitazione dei vecchi artisti napoletani ma il filtro di una personalità esuberante e irrefrenabile. Così Dove sta Zazà, che nel dopoguerra era stata il simbolo dell'Italia dissolta («Dove sta Zazà/ uh Madonna mia») tornava ad essere nella sua interpretazione un brano intriso di perfidia e di amarezza. E così era per Ciccio Formaggio, vecchio numero di Nino Taranto. Dal Bagaglino alla tv il passo era stato breve ma dopo i trionfi di Mazzabubù ed altri incentrati su di lei, il rapporto con la canzone si era fatto difficile. Anzi, più che con la canzone, con il complesso mondo dello spettacolo, dal quale lei cominciava a rifuggire. Per una celebrazione di Villa era stato difficile portarla sul palco del Palazzo delle esposizioni ma più difficile ancora farla cantare. Si sapeva che non voleva più cantare ma qualche anno fa un impresario era riuscito a farle incidere un nuovo disco e contava di organizzarle una tournée. Tutti lo guardavano con incredulità, infatti la tournée non ci fu. L'impresario combinò allora una settimana al Teatro Vittoria ma anche quello spettacolo non andò in porto. Appariva raramente in show televisivi, come testimone di un'epoca e non so francamente come riuscissero a vincere le sue resistenze.